martes, 7 de marzo de 2017

Comunicato stampa (Italiano): confermato dalla ricognizione georadar il posto della civitas romana di Caraca al Cerro de la Virgen de la Muela (Driebes, Guadalajara, Spagna Centrale)

      Nell’autunno del 2016 un gruppo di archeologi diretti da Emilio Gamo Pazos e da Javier Hernández Ortea ha portato a termine una prospezione archeologica intensiva e geotecnica della zona collinare conosciuta come “Virgen de la Muela”, ubicata nella località di Driebes, in provincia di Guadalajara, più specificamente nella regione della Alcarria Baja. A questo scopo è stato configurato una equipe multidisciplinare di esperti formata dai ricercatori universitari Jerónimo Sánchez, David Álvarez Jiménez e Saúl Martín González, coadiuvati da professionisti del C.A.I. (Centro di Appoggio alla Ricerca) di Archimetria e Analisi Archeologica in collaborazione con il Dipartimento di Fisica Terrestre, Astronomia e Astrofisica I (Sezione del dipartimento di Astronomia e Geodesia), della Facoltà di Matematica dell’Università Complutense di Madrid. Le prospezioni sono state finanziate dalla Junta de Comunidades di Castilla La Mancha, ente regionale che unisce tutti i Comuni della Regione Castilla La Mancha, dal Comune della località di Driebes e dall’Associazioni di Sostenitori del Museo di Gaudalajara, grazie soprattutto alla cortesia dei proprietari dei terreni coinvolti, che hanno permesso lo sviluppo delle esplorazioni.

    Il gruppo di archeologi era al corrente delle possibilità insite nell’attività di esplorazione nella zona, in quanto già nel 1945, durante la costruzione del canale di Estremera, era stato trovato  ai piedi di questa collina un tesoretto di argento, di 13,8 kg di peso complessivo distribuiti in 1480 frammenti quali: recipienti, lingotti, anelli, torqui, fibbie  e monete. Il tesoro è stato datato intorno alla fine del III sec. a.C., ed è attualmente esposto nel Museo Archeologico Nazionale. Durante gli anni ’80 nello stesso luogo erano già state realizzate alcune prospezioni archeologiche da parte dei professori Jorge Sánchez-Lafuente e Juan Manuel Abascal, i quali, oltre a segnalare l’importanza del giacimento romano, ne diedero una possibile prima identificazione con l’antica città di Caraca.

    Il lavoro di ricerca si è basato sulla consultazione di bibliografia, cartografia e fotografie storiche, così come dalla ricostruzione della toponimia. Il lavoro sul campo posteriormente si è sviluppato in due fasi. Nella prima, il gruppo di archeologi collocati a intervalli regolari sul terreno in questione, ha raccolto materiale dalla superficie, e ha proceduto alla geodifferenziazione dello stesso (principalmente ceramiche, ma anche frammenti di stucchi con resti di pitture murali). Nella seconda fase è stato utilizzato un georadar 3D con antenna multicanale e frequenza di 600 MHz , per poter arrivare a una profondità tra 0 e 1,5 metri in una superficie di un ettaro.  Le due fasi sono state complementari, in quanto l’informazione ricavata in una fase dava senso all’informazione ricavata nell’altra. L’esito positivo era senz’altro atteso, ma quanto ottenuto da queste tecniche non invasive di ricerca ha superato ogni attesa, così come è stato messo in evidenza nelle pubblicazioni scientifiche attualmente in corso di stampa.
I risultati  della ricerca sono stati infatti notevolmente esplicativi, al punto da poter confermare senz’ombra di dubbio la presenza sull’altipiano di una città di epoca romana con un’urbanizzazione tipica. Attraverso il georadar si sono potuti osservare chiaramente i suoi spazi pubblici, includendo un foro porticato, il Cardo Decumanum, ovvero le sue vie principali, probabilmente un macellum o mercato, le terme, e inoltre una fitta rete di quartieri ed edifici abitativi che, vale la pena di sottolineare, sembrano sovrapporsi in un ordine cronologico. D’altro canto è possibile che l’eremo della “Virgen de la Muela”, patrona di Driebes, costruito nel XVI secolo e giunto ai giorni nostri, seppure in uno stato di conservazione piuttosto compromesso, si trovi in corrispondenza di un antico tempio che sarebbe proprio nel centro del giacimento. Gli archeologi segnalano che il nome della città, che appare citata in diverse fonti storiche, è quello di Caraca.

     I materiali in ceramica recuperati dagli archeologi hanno permesso di dedurre la durata dell’occupazione dell’altipiano. I resti più antichi risalgono alla fine dell’età del Bronzo, vale a dire agli inizi del primo millennio prima di Cristo. In un secondo momento il giacimento continuò a essere occupato e i carpetani lo trasformarono in un villaggio di grandi dimensioni che controllava la fertile riva del fiume Tajo. Dopo la conquista romana la zona continuò ad essere abitata raggiungendo addirittura la categoria di municipio, e fu abitato almeno fino  al II d.C.
Un altro elemento che ratifica l’esistenza di un municipio romano è la presenza di un acquedotto inedito di 3 km, del quale sono stati individuati 112 metri di canalizzazione di opus caementicium (cemento romano) conservato. L’acquedotto ha caratteristiche identiche a quello di Segobriga, avendo la propria origina nella sorgente di Lucos, anch’essa situata nella località di Driebes, nome che deriva dal latino Lucus, e che significa “bosco sacro”. La costruzione di questo tipo di opere era legato all’edificazione delle urbi con status di municipio. Infine, sono stati identificati conci di grandi dimensioni con lavorazione in bugnato, appartenenti con ogni certezza agli edifici pubblici e alla via romana che avrebbe unito questa città con Segobriga e Complutum, la cosiddetta via Complutum-Carthago Nova.
È così che questo gruppo di ricercatori ha potuto constatare l’esistenza di un nucleo urbano:  Caraca, una città sulla cui ubicazione si è molto discusso fin dai tempi degli umanisti eruditi ai giorni nostri. Anche se alcuni autori hanno stabilito che questo giacimento corrisponde ad altri insediamenti minori come Taracena o Carabaña, la situazione geografica di questo altipiano calza perfettamente con l’informazione data da Tolomeo e, in particolar modo, con l’itinerario tardoromano dell’Anonimo di Ravenna che collocava Caraca tra le città di Segobriga (Saelices, Cuenca) e Complutum (Alcalá de Henares) nel percorso della via  romana che collegava quest’ultima urbe con Carthago Nova (Cartagena), uno dei porti marittimi più importanti dell’Hispania. Questa via sembra essersi consolidata principalmente grazie al trasporto di una delle principali esportazioni che l’entroterra peninsulare garantiva all’Impero Romano, il lapis especularis,un minerale trasparente usato per la fabbricazione delle finestre degli edifici romani, che venne soppiantato dalla diffusione del vetro nel II secolo d.C., fatto che sicuramente è legato alla decadenza della città. Inoltre bisogna ricordare che questo centro urbano sfruttava tutti i materiali provenienti dalla fertile terra della riva del Tajo, e tra questi sicuramente lo sparto, pianta erbacea che ebbe molteplici usi nell’Antichità.
Ciononostante, per confermare definitivamente e l’ipotesi proposte inizialmente e i ritrovamenti portati ala luce grazie alle nuove tecnologie, è necessario fare un altro passo. Per questo è intenzione degli archeologi continuare nel corso di quest’anno i lavori di scavo sul luogo con l’obiettivo di conoscere più dettagli di questo giacimento, che riveste quindi un’importanza eccezionale per approfondire i dati in nostro possesso sulla presenza romana nell’Hispania interiore. Inoltre, la scoperta di una nuova città romana rappresenta una grande opportunità non solo per il sapere scientifico, ma anche per determinare lo sviluppo socioculturale ed economico della regione dell’Alcarria.

Le persone interessate a conoscere maggiori dettagli di questa scoperta possono assistere alla conferenza in cui gli archeologi presenteranno i risultati della ricerca nel Museo di Guadalajara il giorno giovedì 9 marzo alle 19:30 (Plaza de los Caidos, s/n - Guadalajara).

- Pedro Rincón Arce. Sindaco di Driebes: “A Driebes c’è grande entusiasmo e attesa per il progetto archeologico, perché da sempre si è detto che qui esistevano dei resti archeologici. Vogliamo perciò ringraziare i proprietari dei terreni coinvolti per la collaborazione nello sviluppo del progetto di investigazione”.

-  Teresa Sagardoy Fidalgo. Archeologa, Junta de las Comunidades de Castilla la Mancha:”Una delle scoperte archeologiche più rilevanti degli ultimi anni in Guadalajara”.
- Fernando Aguado Díaz, direttore del Museo di Guadalajara: “La solidità del progetto proposto dall’equipe di ricerca guidato da Emilio Gamo e Javier Fernández ha portato l’Associazione Amici di Guadalajara ad appoggiali fin dal primo momento. Seppure ancora in una fase iniziale delle ricerche, i dati ottenuti dalla prospezione archeologica obbligano fin da ora a un totale ripensamento di quanto fino ad ora si sapeva della presenza romana nella nostra provincia, e completano la mappa dell’organizzazione territoriale dell’Hispania. Dobbiamo solo aspettare i risultati degli scavi per poter completare le collezioni dell’epoca romana del nostro Museo e con essi illustrare un discorso che renda più comprensibile quel momento storico”.

- Teresa Chapa Brunet. Cattedratica di Preistoria. Direttrice del CAI di Archeometria e Analisi Archeologico, Università Complutense di Madrid. “I metodi geofisici sono attualmente strumenti imprescindibili tanto per l’investigazione come per la gestione del Patrimonio Archeologico. Lo sviluppo di tecnologie come quella del Georadar 3D permettono di ritrovare con grande precisione strutture che sono rimaste sotterrate, e che risultano invisibili dalla superficie. Questo è esattamente quel che succede nel giacimento di Driebes, dove al di sotto di un campo arato possono “vedersi” piazze, strade e case di epoca romana. Con questa informazione l’attività archeologica può fissare i suoi obiettivi con maggiore efficacia, sia per realizzare gli scavi quanto per controllare la conservazione di resti archeologici che, in altro modo, sarebbero in pericolo di scomparire”.

- MªLuisa Cerdeño, professoressa del Dipartimento di Preistoria dell’Università Complutense di Madrid: “Bisogna mettere in rilievo l’importanza della scoperta di questo nuovo giacimento, quasi intatto, perché può darci informazione di inestimabile valore sul momento storico in cui le popolazioni indigene carpetane entrarono in contatto con i conquistatori romani, e sul loro  posteriore sviluppo culturale. Il giacimento scoperto assume una grande importanza dal momento in cui permette di documentare un’ampia sequenza culturale che comprende i primi abitanti dell’altipiano della fine dell’età del Bronzo, e il posteriore sviluppo dei carpetani durante l’età del Ferro e, come abbiamo detto, il processo di romanizzazione ed integrazione nell’orbita politica, economica e culturale dell’Impero Romano, come testimonia la grandezza della città che fu attiva fino alla fine del II secolo d. C”.

  GRUPPO ARCHEOLOGICO –PROGETTO DRIEBES

                   Traduzione di Amanda Lorenzo Martín.

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